-“[...]GARIBALDI CHE COMANDA, CHE COMANDA I BERSAGLIERI!”-
-“[...]GARIBALDI
CHE COMANDA, CHE COMANDA I BERSAGLIERI!”-
Il
titolo si rifà alla parte finale di una nota marcetta risorgimentale
la cui melodia di fondo è quella del passo di corsa dei Bersaglieri,
e parla di Garibaldi che fu ferito ad una gamba...ed il resto lo
sappiamo!
Oggi,
nonostante la Teoria Revisionista che anima il quadro generale della
Storiografia Internazionale fino a sfociare nel campanilismo, nel
complottismo e nella politica disonesta, il Generale Giuseppe
Garibaldi è stato fino agli anni '90 la figura che maggiormente
rappresentava l'idea dell'Eroe Risorgimentale che ha, secondo la
Storiografia Ufficiale, operato l'Unità Politica della penisola
italiana 171 anni fa, anche se egli più che a un Regno pensava
mazzinianamente ad una Repubblica, e dopo aver “fatto l’Italia”
ed entrato nel Governo si accorse che il Governo non era italiano ma
piemontese e cavouriano e si dimise nel 1863.
Non
bisogna dimenticare che l'Italia è stata unita geograficamente ben
prima della venuta di Garibaldi, Napoleone, Vittorio Emanuele ed
altri conquistatori che la unificarono politicamente più volte nel
corso della Storia.
Fu
il Cancelliere austriaco Metternich, che nel 1815, disse che l'Italia
altro non era che una entità geografica e non politica, abitata da
popoli accomunati, aggiungiamo noi, da tradizioni, lingua ed etnia,
ma che secondo lui non avrebbe mai raggiunto l'Unità, salvo poi
essere smentito nel 1861, nel 1866, nel 1872 e nel 1918.
Che
la politica ricordi che siamo un Paese Unito, probabilmente l'ombra
di quello che è stato fino agli anni '60 riferendoci a valori di
Stato e Sociali, e che sappia che i più grandi risultati li ottiene
non chi inneggia al vecchio Re Borbone o al Doge veneziano, ma che
ogni mattina quando si sveglia beve “un espresso all'italiana” e
si impegna per essere efficiente per il bene della comunità e non si
ricorda di essere italiano solo quando viene il SARS-CoV2, il
Mondiale di calcio o gli Europei ogni 2 o 4 anni.
Terminata
la polemica.
Garibaldi
nel 1860 partì, secondo la tradizione dallo scoglio di Quarto,
presso Genova, alla volta della Sicilia e in seguito alla vittoria in
alcune battaglie riuscì a farsi strada fino in Calabria per
affrontare l'esercito napoletano (uno dei più potenti d'Europa e più
grandi, ma mal comandato).
Fu
allora che i “Mille” non furono più mille, e numerosi volontari
si aggregarono a quelli che furono prima chiamati garibaldini e dopo,
raggiunte le 50000 unità circa, presero il nome di Esercito
Meridionale.
Per
garibaldini infatti non si intende la totalità dei volontari che
seguirono Garibaldi dopo la Sicilia, ma solo il primo nucleo dei
“Mille” che partì dallo Scoglio di Quarto.
A
parte ciò numerosi volontari meridionali spinti dalla speranza di
una nuova vita, magari spinti dalla volontà di veder perdonate le
proprie colpe come Carmine Crocco, o ancora mossi da idee liberali e
filosofiche combatterono per l'Unità d'Italia.
I
soldati provenienti dalla nostra zona, Irpinia, Basilicata, Valle del
Sele, furono integrati nella XVII Divisione comandata da Giacomo
Medici che partecipò alla battaglia del Volturno.
Tra
le Camicie Rosse della XVII Divisione, 4° Brigata, 1° Reggimento
Cacciatori “Caravà”, combatteva Alfonso Di Donato nato a
Castelnuovo di Conza il 24 Agosto 1840.
Di
costui sappiamo solo che facesse parte di una famiglia ricca ed era
figlio di Don Donato Di Donato di Castelnuovo, gentiluomo e Donna
Angiolina Ferrara.
Nacque
da un rapporto tra fidanzati ed i suoi genitori si sarebbero sposati
con un matrimonio riparatore perchè il giovane Donato Di Donato
aveva solo 18 anni e donna Angiolina 19 quando nacque Alfonso.
Probabilmente
Don Donato doveva essere un uomo colto e probabilmente i Di Donato
dovevano avere buone conoscenze nell'ambiente liberale di Salerno e
Napoli e nei circoli che parlavano di una Italia Unita e il Di
Geronimo nel suo ottimo testo ha dimostrato come i Di Donato fossero
stati insieme ad altri castelnovesi dei Carbonari, tanto che il
giovane Alfonso suo figlio, a 20 anni, infervorato dall'educazione e
dai sentimenti instillatigli dal padre e dall'illustre sua famiglia,
si arruolò nelle “Camicie Rosse”.
Alfonso
fu cacciatore musicante e pare suonasse la tromba per diletto. Tra i
cacciatori forse suonò la carica della fanteria sul Volturno. I
Cacciatori infatti sono un'unità di fanteria leggera molto comune
nell' '800 adibita a movimenti veloci e armati di carabine molto
precise e baionette, molto simili ai bersaglieri, e venivano
sfruttati a supporto della fanteria di linea usando attaccare il
nemico alla baionetta per primi o semplicemente disturbando la
manovra della fanteria nemica durante il combattimento con tiri
precisi.
Il
mestiere di “musicante” gli tornò utile quando dopo la presa di
Porta Pia si trasferì a Roma insieme ad un suo parente, (uno zio
pare, ufficiale e direttore di orchestra militare a Roma) dove fece
il musicista.
Fatto
sta che Alfonso Di Donato morì a Roma agli inizi del '900.
Probabilmente
fu un antenato di Federico Di Donato, il noto Maestro che tanto
lustro diede a Castelnuovo e all'Italia e che fondò le Colonie
Climatiche per tutti i bambini italiani in età scolare : una era
presente a Salerno negli anni '60 ad esempio e vi andarono anche i
bambini castelnovesi.
E'
lecito credere che quando Federico Di Donato insegnò nell'Urbe fosse a
conoscenza di suoi parenti abitanti in città discendenti di Alfonso Di
Donato, garibaldino, e dell'altro zio che vissero a Roma sin dal
1872.
Fonti:Archivio
di Stato di Torino, Ministero della Guerra, Esercito Italia
Meridionale, Ruoli Matricolari, mazzo 29, registro 177, 66
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